Società tra avvocati
Prevale il contenuto professionale della prestazione
a cura di Gabriele Righetti
L’Agenzia delle Entrate in risposta a un interpello (articolo 11, della legge 212/2000), con la risoluzione 28 maggio 2003 n. 118/E, si è pronunciata su un tema di particolare interesse e colmo di dubbi per gli operatori circa l’inquadramento dei redditi prodotti dalle “S.t.p.” – società tra professionisti (la figura societaria tipizzata dal Dlgs 96/2001 per l’esercizio in forma associata della professione di avvocato, in attuazione della direttiva comunitaria n. 98/5/Ce sulla libertà di stabilimento da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri). Nell’attesa che la riforma degli Ordini professionali fosse approvata, con pubblicazione sul supplemento ordinario alla “Gazzetta Ufficiale” del 4 aprile 2001 n. 79 e con effetto dal 19 aprile 2001, debuttò su larga scala la società per l’esercizio dell’attività forense in forma societaria, unica possibilità all’interno dei settori protetti se si eccettua quella delle società di ingegneria e di quelle di revisione.
Le società tra professionisti – Le società “cucite su misura” per gli avvocati hanno le seguenti caratteristiche:
• è oggetto esclusivo della società l’esercizio in comune della professione forense;
• è costituita con atto pubblico o scrittura privata autenticata;
• la ragione sociale deve indicare il nome dei soci, il loro titolo professionale e deve contenere l’indicazione di società tra professionisti, in forma abbreviata “S.t.p.”;
• deve essere iscritta nel Registro delle imprese, sezione speciale per le società tra professionisti;
• tutti i soci devono essere avvocati e la cancellazione o la radiazione dall’Albo è causa di esclusione dalla società;
• deve essere iscritta in una sezione speciale dell’Albo degli avvocati ed è soggetta a tutte le norme legislative, professionali e deontologiche che disciplinano la professione di avvocato;
• la società non è soggetta a fallimento;
• l’incarico conferito alla società può essere eseguito solo da uno o da più soci;
• i compensi derivanti dall’attività professionale dei soci costituiscono crediti della società.
La regolamentazione fiscale – Il Dlgs 96/2001, tuttavia, manca di una altrettanto puntuale qualificazione dei redditi prodotti dalla società, in quanto nessuna disposizione fiscale o previdenziale è inserita nel testo. E subito dopo l’entrata in vigore della norma vi furono interpretazioni discordi circa l’esatto inquadramento del reddito, se di impresa ex articoli 51 e seguenti del Tuir ovvero di lavoro autonomo secondo la regolamentazione degli articoli 49 e 50 del Dpr 917/86.
A suffragio dell’inquadramento come reddito d’impresa c’era principalmente il rimando contenuto nell’art. 16, comma 2, del Dlgs 96/2001 «… la società tra avvocati è regolata dalle norme del presente titolo e, ove non diversamente disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo… ». A convalidare l’interpretazione opposta la sussistenza di elementi circa la regolamentazione, la natura e la sostanza dell’operare in società per l’avvocato. A favore della prima tesi qualche commentatore, mentre a favore della seconda tesi alcune associazioni professionali, esponenti di primo livello della Consiglio nazionale forense, della Cassa di previdenza degli avvocati e la stessa Direzione regionale delle entrate dell’Emilia Romagna.
I regimi fiscali applicabili – La questione non è di poco conto, se si considera, come noto, la diversità del “momento” di imponibilità dei ricavi e di deducibilità dei costi a seconda che il reddito si formi all’atto del pagamento tipico per i professionisti o all’ultimazione della prestazione, nel caso di specie, tipico delle imprese. Per gli avvocati, infatti, come del resto per altri professionisti, il passaggio da un cosiddetto “regime di cassa” ad un cosiddetto “regime di competenza” potrebbe essere metaforizzato come la rottura di una barriera culturale consolidatasi nel tempo. Si pensi, inoltre, all’effetto sulla clientela della “scomparsa” della ritenuta d’acconto, per effetto della qualificazione di tale reddito in quelli di impresa.
La presa di posizione risulterà particolarmente utile se non altro per il periodo temporale, prossimo alla redazione della dichiarazione dei redditi, in cui è stato fornito.
L’intervento dell’Agenzia delle entrate – L’Agenzia delle entrate, nel richiamare la legge 526/1999, in base alla quale il Governo ha emanato il Dlgs 96/2001, evidenzia che la stessa stabilisce che l’esercizio in comune dell’attività di rappresentanza e difesa in giudizio «… non può in nessun caso vanificare la personalità della prestazione, il diritto del cliente di scegliere il proprio difensore, la responsabilità personale dell’avvocato e la sua indipendenza, la soggezione della società professionale a un concorrente regime di responsabilità e ai principi di deontologia generali propri delle libere professioni intellettuali e specifici della professione di avvocato». Osserva che la nuova tipologia societaria ha «come oggetto sociale l’attività professionale dei soci, costituita esclusivamente tra avvocati iscritti all’ordine i quali ne hanno in via esclusiva l’amministrazione». Rileva che il nuovo modello societario «è assoggettato ad una autonoma disciplina i cui aspetti di maggior rilievo riguardano l’oggetto dell’attività, gli obblighi di registrazione, il regime di responsabilità e di rapporti con i clienti». Ricorda che s.t.p. deve essere «iscritta in una speciale sezione del registro delle imprese ed è soggetta anche all’obbligo di iscrizione in una speciale sezione dell’albo degli avvocati presso il Consiglio dell’Ordine nella cui circoscrizione è situala la sede legale». Rammenta che per le modalità di esecuzione dell’incarico «è riconosciuto al cliente il diritto di scegliere sulla base dell’elenco dei soci il proprio difensore, il quale è responsabile personalmente ed illimitatamente per l’attività professionale svolta in esecuzione dell’incarico conferitogli». Ulteriormente considera che «un regime di responsabilità è, inoltre, dettato per la stessa società la quale risponde per le violazioni delle norme professionali e deontologiche applicabili all’esercizio in forma individuale della professione di avvocato» e che «la normativa in esame dispone, infine, che la s.t.p. non è soggetta alle norme sul fallimento e, per quanto non espressamente previsto, è disciplinata dalle disposizioni che regolano la società in nome collettivo».
L’Agenzia delle entrate, argomentando, ammette che il generico rinvio alla disciplina delle società in nome collettivo dovrebbe operare, prima facie, nel senso di qualificare i redditi prodotti dalle società tra professionisti quali redditi d’impresa, ai sensi dell’articolo 6, comma 3, del Tuir il quale dispone che «i redditi delle società in nome collettivo … da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale sono considerati redditi d’impresa…». Continua nell’osservare, tuttavia, che «la qualificazione commerciale della s.t.p. appare in contrasto con i caratteri che informano la specifica tipologia societaria di cui al Dlgs 96/2001 i quali inducono, invece, a ritenere che il modello societario delineato risulti del tutto peculiare rispetto alla società in nome collettivo, proprio in considerazione della specificità dell’oggetto sociale, per cui, attraverso l’utilizzo del modello societario non viene meno il carattere professionale e personale della prestazione di assistenza legale». Ciò sarebbe anche suffragato da quanto espresso nella «stessa relazione governativa al decreto legislativo, che in più occasioni afferma il carattere professionale della società sottolineando che il richiamo alle norme sulla s.n.c. non implica la qualificazione della società tra avvocati come società commerciale…» e che l’esclusione della società tra avvocati dal fallimento «conferma la specificità del tipo e la natura non commerciale dell’attività svolta». Per l’Agenzia inoltre ciò «risulta coerente con le disposizioni del codice civile ed in particolare con la previsione dell’articolo 2238 il quale nega, anche se in modo indiretto, la natura commerciale delle attività dei professionisti intellettuali e degli artisti. La norma richiamata stabilisce, infatti, che a tali attività intellettuali e artistiche si applicano le disposizioni dettate in relazione all’impresa commerciale solo se le prestazioni professionali costituiscono elemento di una attività organizzata in forma d’impresa. Anche la Sezione Consultiva degli atti normativi del Consiglio di Stato nell’adunanza dell’11 maggio 1998, -continua l’Agenzia- sottolinea che lo strumento societario non può comunque vanificare i requisiti della personalità e della professionalità del soggetto esercente, indicando, con tale affermazione, che l’attività di assistenza legale svolta nella forma societaria mantiene lo stesso contenuto che ne caratterizza l’esercizio in forma individuale».
Le conclusioni – Nella conclusione, quindi, che il modello societario della s.t.p. risulta del tutto peculiare rispetto allo schema societario, proprio in considerazione della rilevanza che assume, nell’ambito della s.t.p., la prestazione professionale dei soci rispetto alla incidenza del capitale, il rinvio alle disposizioni che regolano la società in nome collettivo opera ai soli fini civilistici, in quanto consente di determinare le regole di funzionamento del modello organizzativo, mentre ai fini fiscali, per ragioni di coerenza del sistema impositivo, occorre dare risalto al reale contenuto professionale dell’attività svolta. L’apporto di carattere personale e intellettuale del singolo professionista (socio) prevale sui mezzi organizzative della società tra avvocati.
L’effetto di tale assunto, per l’Agenzia delle entrate, è che «l’esercizio in forma comune dell’attività di avvocato, realizzato utilizzando il nuovo modello societario della s.t.p., deve pertanto, essere ricondotto nell’ambito del lavoro autonomo. In particolare, i redditi prodotti dalla s.t.p. costituiscono redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 49 del Tuir in quanto a essi si applica la disciplina dettata per le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma comune di arti e professioni di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del medesimo testo unico». Ulteriore conseguenza operativa è che «i compensi corrisposti alla s.t.p. sono inoltre soggetti a ritenuta d’acconto ai sensi dell’art. 25 del Dpr n. 600 del 1973».