Introduzione
Con l’espressa impossibilità di riaprire l’accertamento (ordinario) fiscale su annualità decadute prevista dal provvedimento denominato “certezza del diritto”, la “Voluntary Disclosure” può davvero partire per far decollare l’emersione di patrimoni detenuti all’estero. Ed a quadro giuridico da considerarsi definitivo, anche se quello applicativo un po’ meno, può essere d’interesse qualche nota relativa ad aspetti di valutazione microeconomica e dell’asset protection per assumere, o meno, la decisione di aderire all’ “offerta” che il legislatore volge nei confronti di coloro che dispongono all’estero di attività e patrimoni in genere non dichiarati al fisco.
Il contesto internazionale
Gli Stati hanno via via implementato un percorso di collaborazione fiscale particolarmente “convincente ed efficace” per ottenere quella confessione al fisco sulla quale la Voluntary Disclosure si basa. L’amministrazione fiscale italiana dispone da oggi di strumenti bilaterali per lo scambio di informazioni a richiesta (basate sull’art. 26 dei 92 trattati contro le doppie imposizioni siglati e degli accordi TIEA con Guernsey, Gibilterra, Isola di Man, Jersey, Isole Cook, Cayman, Bermuda) o automatici (Fatca, operativo da settembre con i dati 2014, accordi finalizzati alla voluntary con Svizzera, Liecthtenstein e Principato di Monaco) e completerà il reticolo col sistema di interscambio globale “CRS – Common Reporting Standard” (al quale hanno aderito 98 Paesi per scambiarsi i dati 2016 sin dal 2017). Il tutto, oltre che segnare la fine di un’epoca caratterizzata dall’esportazione di ricchezza oltre confine con la garanzia di riservatezza, comporta il rischio che l’Agenzia delle entrate chieda conto ai contribuenti italiani delle disponibilità detenute all’estero non dichiarate. In assenza di argomentazioni, a quel punto, contesterà il mancato adempimento del monitoraggio fiscale oltre che l’evasione dei redditi provenienti dai patrimoni esteri e di quelli (nazionali) che servirono per costituirli, con l’eventuale aggiunta di addebiti penali tributari od antiriciclaggio.
In questo contesto, altresì, si riscontra la posizione degli istituti finanziari esteri o case di aste che, adattando le loro compliance alla lotta al riciclaggio ed al terrorismo dei reati tributari ovunque commessi, bloccano l’operatività a meno che non venga loro dimostrata la regolarità fiscale nazionale di quelle attività dagli stessi detenute. Il rischio di una mancata regolarizzazione è quindi quello di dover sopportare un annullamento e/o limitazione del valore per via della loro “non conformità”, che di fatto li rende non liberamente e interamente disponibili. Sono motivazioni che impongono di valutare la Voluntary Disclosure ed anticipare possibili conseguenze dalla sua mancata adesione.
Le valutazioni individuali
Dedicarsi, in generale, della tutela patrimoniale consiste dell’occuparsi anche del loro valore, inteso non tanto -in questa sede- come unità di conto, ma collegato alla facoltà di poterne disporre e come mezzo di scambio (liquidabilità) nelle transazioni. Il Nobel Samuelson ricorda che «la moneta, in quanto moneta e non in quanto merce, è voluta non per il suo valore intrinseco, ma per le cose che consente di acquistare». Per cui, se in un determinato contesto, i fondi di cui un soggetto è titolare sono bloccati in maniera tale da renderne depotenziato il potere di scambio… questi fondi, in sostanza, valgono di meno fino a niente. Ecco perché la valutazione dell’opportunità di aderire alla Voluntary Disclosure è collocabile nel paradigma del rapporto opportunità/rischi (equivalente al Gain/Risk) circa il confronto di convenienza tra il costo fiscale della Voluntary Disclosure con il “valore” della conformità, al quale vanno altresì aggiunti i pro della copertura da rischio fiscale (imposte e sanzioni), penale (tributario e antiriciclaggio) e Paese (raddoppio periodo d`accertamento e patrimoni parzialmente o totalmente indisponibili).
La scelta
La scelta di aderire o meno alla procedura di collaborazione, o valutare forme alternative e legali di regolarizzazione delle attività finanziarie, investimenti, arte e preziosi detenuti all’estero, potrebbe essere valutata secondo gli elementi di opportunità che seguono, in quanto la Voluntary Disclosure:
- costituisce la strada obbligata per la propria tutela patrimoniale, purchè la sua utilità marginale superi il costo della regolarizzazione, ovvero quando
(patrimonio meno costo regolarizzazione) > valore (di scambio) di quel patrimonio “non conforme” + rischi
Detto in altri termini: quanto sono disposto a pagare per regolarizzare, ma in realtà per poter essere il vero arbitro di quel patrimonio, potendolo spostare ove voglio (in qualsiasi Paese) e per quel che voglio (depositi disponibili, titoli, fondi, oro e preziosi, arte, immobili, altro) assicurandosi la minacciata libertà finanziaria? Oppure, al contrario, quanto costa la indisponibilità di quel patrimonio, che i fatti indicano sia già incominciata?
- rappresenta il percorso per evitare il molto probabile rischio di un pesantissimo accertamento fiscale,
- consente di escludere di doversi accollare il rischio Paese ove le attività sono mantenute (la Svizzera è attualmente black list, eccettuato che per la procedura di voluntary “agevolata”, ad esempio),
- assicura la copertura penale (per reati tributari e reati relativi alla normativa antiriciclaggio).
Conclusioni
La Voluntary Disclosure impone certamente la valutazione circa una scelta, forse obbligata se si considerano i mutamenti del quadro internazionale verso la totale trasparenza che, fra l’altro, renderanno le disponibilità mantenute occultate all’estero sempre più rischiose e svalutate, con l’eventualità che la scelta di scartare l’offerta di regolarizzazione possa essere destinata a separare gli interessati dai loro stessi patrimoni.
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